Quando fanno qualcosa di sbagliato è meglio condividere i sentimenti, descrivere la situazione e aiutarli a risolverla.
Toñito gioca con la sua palla nel salone di casa
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pur sapendo che la mamma gliel’ha proibito.
All’improvviso la palla va contro uno specchio il cui vetro si rompe fragorosamente.
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Allertata dal rumore arriva la mamma, e si rivolge a Toñito.
“Ma… lo specchio è rotto! Chi è stato?”,
insiste la mamma.
“È caduto e si è rotto!”, replica Toñito.
Per il bambino, nella sua immaginazione, esiste la possibilità che il vetro di uno specchio si frantumi da sé e presuppone di poterlo spiegare così, ma ignora che lo tradisce più la palla tra le sue mani che i vetri a terra.
Ha già la capacità di mentire, ma gli manca l’esperienza del male, che gli darà la capacità di coprire ciò che è falso con un’apparenza di verità.
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È una capacità che, acquisita a poco a poco, gli impedirà di vivere con la semplicità e la trasparenza che esistono nella vita dell’uomo onesto.
E nascerà l’uomo scaltro, quello che come dice una canzone
“gioca sempre a non perdere e perde tutto vincendo”,
perché non percorrendo la via della verità e della prudenza sviluppa una tale abilità a mentire che finisce per ingannare se stesso, smettendo di provare il vero rispetto e il vero amore per il prossimo; inganna se stesso, inganna gli altri e pretende di rendere possibile l’impossibile… ingannare Dio.
Smette di riconoscere gli altri e se stesso come persone.
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Aiutato dalla comprensione e dall’affetto dei suoi genitori, Toñito dovrà imparare a dire sempre la verità e ad essere tutto d’un pezzo, che la cosa negativa non è commettere errori o vergognarsi, ma non correggersi tacendo le cose.
Riflettiamo: cosa dovrebbe farci vergognare di più, fare qualcosa di sbagliato o doverlo dire?
La prima cosa, perché la seconda implica una chiara rivendicazione del valore della persona.
Se è così, allora dobbiamo insegnare ai nostri figli a esprimere i propri errori e a lasciarsi aiutare, come quando si ammalano e chiedono il nostro aiuto con tanta fiducia.
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È molto comune che i genitori, di fronte a qualche azione sgradevole o scorretta da parte dei figli, chiedano in modo minaccioso “Chi è stato?” per verificare chi ha rotto il vetro, chi ha sparso la marmellata sul pavimento o chi ha rovinato le pareti; per trovare il nome del colpevole.
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Questa domanda non aiuta a risolvere il problema, visto che usandola i genitori comunicano che è urgente trovare i colpevoli e punire, facendo vedere che il castigo importa di più della soluzione del problema e del fatto di approfittare della situazione per insegnare a vivere la virtù della sincerità attraverso ciò che sta accadendo.
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La domanda “Chi è stato?” non dà ai figli informazioni sui sentimenti e sulle buone intenzioni dei genitori; allo stesso modo, non dice nulla di positivo circa il comportamento che ci si aspetta da loro in futuro; si perde l’opportunità di usare la situazione come circostanza per insegnare, trasformandola invece nel preludio del castigo.
Non aiuta nemmeno la variazione della frase in “Di chi è la colpa?”.
In genere, se i figli sono piccoli si daranno la colpa l’uno all’altro,
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e se sono più grandi cercheranno di giustificarsi o di mettersi sulla difensiva, mentendo e scatenando situazioni di conflitto.
Un atteggiamento migliore da parte dei genitori sarebbe descrivere la situazione ed esprimere i propri sentimenti al riguardo:
“Vedo lo specchio rotto e sono molto dispiaciuta”.
Ugualmente utile è dare loro più informazioni di modo che vedano l’errore e capiscano perché non si deve fare:
“La palla rimbalza molto, ed è per questo che non si deve usare in casa, ma solo in giardino”.
Bisogna poi suggerire la soluzione al problema provocato, cercando allo stesso tempo la sincerità e l’accettazione della responsabilità, per lasciarsi aiutare:
“Chi è stato deve aiutarmi a raccogliere, i vetri rotti sono pericolosi”.
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Toñito annuisce con la testa e aiuta a raccogliere.
Con il suo atteggiamento sta vivendo la sincerità, rendendosi responsabile.
Alla fine riceve un bacio, meglio se da entrambi i genitori e impara, nella ricompensa amorevole, il valore della verità.
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Quando i genitori condividono i propri sentimenti, descrivono la situazione e danno informazioni su come collaborare a risolverle, stanno comunicando in modo corretto il messaggio per cui credono che i loro figli siano sufficientemente intelligenti da rendersi conto di aver fatto qualcosa di sbagliato, perché non deve succedere di nuovo e che è importante risolvere la situazione essendo sinceri e responsabili.
Con questo, si danno loro lezioni utili e preziose.
La prossima volta che vi scoprirete a dire retoricamente “Chi è stato?”, magari urlando
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fermatevi un momento e mettete in discussione le vostre motivazioni perché potreste trovarvi ad aver aggravato la situazione
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Cos’è più importante, trovare il colpevole e punire o concentrarsi su ciò che bisogna fare e cogliere l’opportunità di formare nella sincerità?
Se l’educazione viene fatta con giusto criterio, amore e, soprattutto, con l’aiuto di Dio, i risultati non tarderanno a manifestarsi
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